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Candidatura del prof. Morcellini alla direzione del Dipartimento CoRiS

Cari Colleghi e Cari Studenti,

parto da un doveroso ringraziamento per l’iniziativa dei Professori che hanno voluto attivare – a valle del mio messaggio del 31 luglio u.s. – una motivata richiesta di candidatura. Sono altrettanto grato che nello scambio di corrispondenza siano emerse argomentate posizioni di consenso, con espressioni che in molti casi mi hanno profondamente colpito. Non solo sul piano politico.

Raccolgo l’invito a mettere per iscritto la mia candidatura, approfondendo soprattutto le note di indirizzo, e rimandando tuttavia al corposo documento già trasmessovi prima delle vacanze e opportunamente discusso nel nostro Consiglio (“Coris. Progetto e innovazione. Un’analisi del triennio 2010-2013 del Dipartimento di Comunicazione e Ricerca Sociale”).

Per quanto la formula di nuovo inizio rischi di essere usurata, non trovo niente di meglio per descrivere il passaggio che attraversiamo in questo scorcio di anno accademico (e che si prolungherà per tutto l’anno che prevede l’elezione del nuovo Rettore). Questo nuovo inizio sarà davvero tale se sapremo tutti insiemevalorizzare gli elementi di identità, di differenziazione culturale e di progetto che le nostre storie comportano. 

Sviluppo ora il testo di candidatura intorno ai seguenti nodi:

1.      un giudizio sintetico sulla fase di passaggio che l’Università italiana sta attraversando;

2.      una rapida valutazione del ruolo che il nostro Dipartimento può esercitare in questo scenario, e della mia candidatura nel solco di questo processo.

Parto da una riflessione sulla difficoltà che l’istituzione universitaria ha patito nell’allinearsi ai linguaggi e ai contesti della società moderna. Accanto a prove convincenti di innovazione e autoriformismo, è difficile non riconoscere difficoltà di risposta e di aggiornamento. Al tempo stesso è innegabile che quando mutamenti di questo genere sono poco governati - e addirittura incompresi dalla politica e dalle istituzioni - gli effetti collaterali delle trasformazioni si scaricano sui punti di minor resistenza e sui soggetti più deboli.

Siamo stati più colpiti dalla crisi perché più vicini alle culture giovanili e ai “laboratori del cambiamento”. Ma siamo anche più vulnerabili per la stessa debolezza strutturale del sistema universitario, troppo esposto agli umori congiunturali della politica e agli effetti devastanti di una campagna stampa unilaterale ai limiti della caricatura. Non a caso, tutti i Governi più recenti si sono presentati all’Università con un progetto di riforma, quasi mai articolato e compiuto, e non di rado caratterizzato da impulsi e scossoni. Dopo la Riforma didattica nota come 3+2, (inficiata da illuminismo e scarsa capacità di prevedere meccanismi di manutenzione e di aggiustamento), ogni Governo e Ministro hanno puntualmente predicato una propria ricetta, spesso al di fuori di una  capacità  tecnica di cantierizzare le riforme prospettate. Del resto, una prova lampante della debolezza culturale e tecnica della politica, che fatica a riconoscere nell’Università una “istituzione sensibile”, consiste nell’osservazione serena di quanto si promette in campagna elettorale (centralità del capitale umano, enfasi sulla formazione e la ricerca, europeizzazione degli standard), e quanto poi si registra puntualmente nelle Leggi finanziarie: la parola risorse si trasforma in tagli, gli investimenti sono subordinati alla lotta agli sprechi e le politiche diventano succubi di un clima di recessione culturale. E’ vero però che negli ultimissimi tempi si è registrata una chiara e concreta inversione in termini di attenzione e persino di risorse.

 Mi sembra di poter dire che il nostro Dipartimento può ben rappresentare una prova sia dei costi provocati dall’innovazione compulsiva che della capacità di rispondere con processi di cambiamento culturale. E’ stato anzitutto in grado di ridimensionare il costo dello stress dei continui cambiamenti istituzionali (ringrazio i colleghi che lo hanno sottolineato come cardine della loro lettera). Su questa strada degli adempimenti cercherò di muovermi con maggior decisione e con risultati meno deludenti dell’ultimo triennio, cercando di ridimensionare anche l’esasperazione degli adempimenti burocratici a cui il riformismo spesso costringe i docenti, gli studenti e soprattutto il personale.

Resta comunque la soddisfazione che la recente fase definita di razionalizzazione istituzionale è stata affrontata con serenità e senza guerre di religione, almeno da parte nostra. E’ una premessa importante soprattutto nei mesi a venire: nella discussione che si prospetta per l’elezione del nuovo Rettore, dovremo avere la forza di inserire la questione di una verifica degli sconvolgimenti istituzionali degli ultimi anni, e comunque una razionalizzazione degli indicatori, della distribuzione delle risorse e dell’autonomia di progetto dei Dipartimenti. In questo triennio abbiamo dato prova di lealtà nei confronti della nuova Facoltà e dei Dipartimenti che la compongono. Un tagliando di manutenzione non è dunque un gesto provocatorio, ma un rinnovamento delle ragioni di un progetto o l’individuazione di una serena prospettiva alternativa.

Per scegliere un orientamento per il futuro le linee programmatiche sono semplici. Dare convinta attuazione a tutte le forme di consultazione con gli studenti (e aggiungo con i laureati recenti), ai fini del continuo processo di manutenzione dei curricula e di investimento sulla didattica. Scrivo tenendo conto anche dei dati di preimmatricolazione che, negli ultimi due anni, ci vedono in ripresa almeno quantitativa, anche se l’ incremento è in parte legato all’aver attirato i corsi di Cooperazione e sviluppo alla matrice CoRis.

Sulla strada di una più avanzata efficienza didattica abbiamo la consapevolezza di avere qualche credito in termini di attenzione selettiva, al punto che il nostro sito è stato riconosciuto dal Ministro Carrozza, con un tempestivo tweet, non certo sollecitato da noi, con queste parole di elogio: “Ottimo. Vorrei che tutti i corsi facessero così. Complimenti per la chiarezza, trasparenza e credibilità”.

Sul potenziamento della ricerca, e dunque su una più avanzata capacità di sostegno della produzione scientifica e dell’internazionalizzazione, va invece radicalizzato uno sforzo più sistematico del passato, che trasformi le prescrizioni non di rado burocratiche della valutazione in una vera e propria “cultura della valutazione“, che sappia intelligentemente imperniarsi su una valorizzazione accorta della coorte più giovane del nostro Dipartimento. Occorre dire che il ruolo del ricercatore, così come il ridisegno del profilo e le forme di selezione per l’inizio della carriera, hanno provocato un fondato clima di risentimento e incoraggiato scelte quasi di ripiegamento. E’ una scelta pazzesca di politica pubblica, in netta contraddizione tra l’altro con garanzie giuridiche, sovraccarichi didattici e autonomie di ruolo precedentemente incoraggiati dalla legislazione. Su questo punto occorrerà dunque approfondire un patto che tenga debitamente conto dell’aumento di stress connesso ai cambiamenti normativi, spingendo per la sperimentazione di politiche concrete che favoriscano anche revisioni nelle regole e  nei carichi di lavoro.

Nella direzione di una valorizzazione istituzionale della qualità della ricerca, e dunque dell’identità pubblica del Dipartimento le idee non mancano, ed alcune sono strategie già avviate. Non è corretto fare promesse inverificabili prima del voto, e dunque mi limito a segnalare che il Rettore ha rilanciato la proposta di fondare alla Sapienza una Scuola di formazione politica, affidandone la progettazione e parte dell’esecuzione a chi vi scrive, e al nostro Dipartimento.

Chiudo questo testo con il rimpianto per le persone che abbiamo perduto in questo mese e tra essi un Docente stimato come Federico Di Trocchio, non dimenticando che lungo l’estate, e anche nella settimana prossima, potremo annoverare notizie che volgono alla speranza come nascite e matrimoni. É un buon modo per ricordare quanto le istituzioni possano essere vissute, non retoricamente, come luoghi di affettività e incroci di storie; gli eccessi di divisione e le negatività inevitabili in qualunque comunità non cambiano il senso di una vicenda comune.

Questa aperta rivendicazione del senso della nostra storia mi consente di chiudere questa lettera con una dichiarazione forte: so bene che la fiducia è diventata una risorsa scarsa, ma è proprio un segno di fiducia che vi chiedo.

 

Mario Morcellini

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