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Ai docenti e al personale CoRiS

Di tutto restano tre cose:
la certezza che stiamo sempre iniziando,
la certezza che abbiamo bisogno di continuare,
la certezza che saremo interrotti prima di finire.
Pertanto dobbiamo fare:
dell'interruzione, un nuovo cammino,
della caduta un passo di danza,
della paura, una scala,
del sogno un ponte,
del bisogno un incontro

Di tutto restano tre cose
(F. Pessoa)

 

Cari tutti,
l'incipit è il più semplice del mondo: grazie a tutti voi, per la buona ragione che la mia “storia” (quella che per molti versi qui si conclude nella responsabilità gestionale) sarebbe stata diversa e più povera se non avessi potuto contare su un investimento fiduciario generoso e singolarmente prolungato nel tempo da parte di molti di voi, ovviamente intendendo non solo la fascia dei docenti e più in generale non solo quelli “di oggi”.
È difficile restituire per intero il sentimento che troppo spesso riassumiamo nella cerimonia degli addii, che non a caso ho accuratamente evitato. È certo che siamo in un momento di passaggio, ma ribadisco la certezza che l’istituzione costruita insieme è più forte di qualunque vicenda individuale; e già questo è un risarcimento tutt'altro che retorico all’uscita di scena.
Giocando sul titolo del film Smetto quando voglio, non posso dire sinceramente che esso corrisponda ai miei progetti; potrei più esattamente dire smetto quando debbo. La tentazione di ritenere che il lavoro non è mai finito è sempre insidiosa, e riconosco dunque che c'è sempre saggezza nelle regole che sembrerebbero vessatorie. C'è effettivamente bisogno di ricambio, e c'è bisogno di più collegialità di quanta ne abbia assicurata nei miei anni di governo.
La gestione che subentra offre a tutti ampie garanzie che le persone che la compongono hanno sempre militato con chiarezza per questa Istituzione; non contro. E con questo spirito passo dunque a un rapido bilancio di quanto fatto in nome dell’obiettivo di rafforzare il Dipartimento con azioni positive (inclusi tantissimi trasferimenti e chiamate dall’esterno, che non tutti hanno dimenticato). Basti pensare che, con le iniziative intraprese negli ultimi Consigli restiamo, uno dei più grandi dipartimenti Sapienza e siamo riusciti nel tempo a bilanciare le uscite per trasferimento o pensionamento, segnando un risultato non frequente nel nostro Ateneo, soprattutto se si pensa alle aree umanistico-sociali.
Il Dipartimento è sistematicamente cambiato, anche grazie al Rismes che ha largamente sostituito la componente confluita nel Disse all’epoca della direzione Frudà. Ma enfatizzo di più, nel congedo, la percezione dell’attivismo del Dipartimento che si è tradotto in una discreta capacità di collegamento con il sistema Sapienza, ma anche negli aggiornamenti continui che sono stati perseguiti. Oggi è più forte del passato e ha patito meno di altri il declino connesso alla compulsione delle regolette, delle riforme e degli adempimenti. Possiamo anche dire che è stato più forte delle marginali divisioni che lo hanno afflitto e lo sarà ancor più perché la mia uscita di scena non è un problema per tanti che hanno condiviso un progetto che resta ovviamente inalterato dalle vicende biografiche. C’è un punto che non voglio dimenticare: mi sono sempre ispirato all’assoluta parità dei diritti legittimi (non quelli fondati sul ruolo, sempre rivendicati solo quando garantiti) e anche nelle scelte concorsuali ho sempre rispettato merito e pluralismo, e dunque anche le scuole alternative.
Del resto, se tante persone – a partire dai ricercatori – hanno voluto credere in una scommessa civile e formativa come quella di Scienze della comunicazione, la preoccupazione per i cambiamenti sfuma rapidamente. Il paradosso infatti è che l’istituzione è risultata compatta al di là delle divisioni, in tempi in cui i risentimenti provocati dalle abilitazioni e l’incattivimento procurato dagli eccessi del riformismo e da una valutazione non attenta a un accreditamento sempre più largo dei suoi vantaggi, avrebbero potuto favorire processi di disgregazione e ripiegamenti opportunistici che non abbiamo invece registrato. È una notazione importante perché sappiamo quanto in questo paese sia facile organizzare la lega dei no. Al CoRiS non è successo, e persino in un momento di autoanalisi e di provocante verità come l’ultimo Consiglio è apparso nitidamente chiaro da quale parte si autocollochi la stragrande maggioranza. Questa è la piattaforma da cui ripartire perché offre la rassicurazione più importante per il futuro: la qualità del lavoro fatto e l’investimento sugli studenti anche in tempi difficili.
Non mi dilungherò sui risultati, ma certo non posso negare che lascio in un momento in cui c’è un aumento delle immatricolazioni e, fenomeno ancor più prezioso, un netto aumento della frequenza, in un anno di difficile transizione per gli spazi della didattica. Ma sono sempre cresciuti i laboratori, RadioSapienza non è morta nonostante il lavoro volontario (e dunque grazie alla generosità di addottorandi e studenti), il nostro sito è uno dei più consultati ed anzi proprio in questi giorni ha ottenuto un certificato di autenticità (bollino grigio) rilasciato da Facebook, e infine abbiamo una nuova Segreteria studenti vicina alle aule didattiche per i primi anni. Soprattutto non siamo entrati in crisi sotto i colpi di un riformismo (nazionale e d’Ateneo) che ha sistematicamente attaccato tutte le aree di innovazione didattica e scientifica, compresa la nostra.
Non voglio però allungare una lista che può apparire una collezione di benemerenze in un momento in cui è invece più giusto osservare gli obiettivi non raggiunti: una nuova qualità della didattica, una diversa dignità degli spazi per l’insegnamento e gli studenti, ed una più forte capacità di alleanza con curricula, Dipartimenti e Facoltà con cui, senza una cultura dell’apertura, si sviluppano inevitabilmente forme di concorrenza e di antagonismo. Resto convinto che avremmo diritto e interesse a un contenitore più ambizioso e capace di intercettare l’innovazione comunicativa e tecnologica visibile nella società italiana. Penso ancora, come ho sempre cercato di dire in questi anni, che una parte dei problemi della contemporaneità risieda nel deficit di sapere e conoscenza, e dunque solo un convinto rafforzamento scientifico e di internazionalizzazione – del resto già intrapreso – può dare risposte avanzate a domande di formazione sempre più esigenti e mirate.
Ho descritto il percorso evolutivo dell’incontro della Sociologia con la Comunicazione a Roma nella prefazione al libro che ha riassunto mezzo secolo della nostra storia. La trovate allegata a questa lettera, perché ne fa parte integrante, ma anche perché soltanto una capacità di pensiero strategico equivalente ai coraggiosi cambiamenti lì documentati per il passato riuscirà ad aggiornare profondamente la nostra mission, garantendo un futuro degno del nome Sapienza.
Concludo questa lettera con una nota personale; l’elemento che subito mi viene in mente quando rileggo la mia storia è la decisione di intestare ad Oriana una delle nostre aule didattiche. Solo noi abbiamo fatto una scelta così chiara di parità reale e di forza del ricordo. Anche questo mi colpisce, e mi fa capire fino in fondo quanto ho abitato questa sede, accettando una proposta filologica che fa derivare questo verbo da habēre.
Ma chiudo con un elemento di alleggerimento rispetto ad una prosa che, nel mio caso, è autentica solo se non nasconde i risentimenti contro tutto ciò che ci ha impedito di essere più forti. Uno dei più fantastici cartelli contro di me dagli studenti (o meglio da presunti estremisti) acutamente diceva: LIBERATE IL CANE DA MORCELLINI. Non ce l’hanno fatta, così come posso dire che mi sarà onestamente difficile liberarmi del ricordo del CoRiS come comunità di destino di tutti noi.

Mario Morcellini

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